Europa, Tutto cambia perché nulla cambi – Lettera da un continente disastrato.
Negli occhi ancora le immagini di ieri: Nizza, post festeggiamenti della presa della Bastiglia, un camion investe la folla. Oltre 80 morti.
Nessuna rivendicazione da quei brand terroristici costituiti da Al Qaida (AQ) e Stato Islamico (IS), ma tanti messaggi di plauso da parte loro al franco-tunisino autore di questa “prode” meschina azione.
Come sempre, come mio stile, eviterò di scrivere del cordoglio e dell’afflizione. Ne verrebbe fuori un post sterile, non perché banale o futile bensì perché privo di effetti: il dolore di questi tempi è qualcosa di fine a se stesso. Così come il cordoglio delle autorità ormai non ci dice nulla, perché il mio dovrebbe dirvi qualcosa?
Perciò, bypasso il punto e vado direttamente a dirvi dell’altro.
I fatti di Nizza ci hanno dimostrato due cose in maniera evidente:
a. Per certe cose non esistono contromisure. La Francia da novembre ha sospeso la Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU) avvalendosi dell’articolo 15 contenuto al suo interno, che così recita:
1. In caso di guerra o in caso di altro pericolo pubblico che minacci la vita della nazione, ogni Alta Parte contraente può adottare delle misure in deroga agli obblighi previsti dalla presente Convenzione, nella stretta misura in cui la situazione lo richieda e a condizione che tali misure non siano in conflitto con gli altri obblighi derivanti dal diritto internazionale.
2. La disposizione precedente non autorizza alcuna deroga all’articolo 2, salvo il caso di decesso causato da legittimi atti di guerra, e agli articoli 3, 4 § 1 e 7.
3. Ogni Alta Parte contraente che eserciti tale diritto di deroga tiene informato nel modo più completo il Segretario generale del Consiglio d’Europa sulle misure prese e sui motivi che le hanno determinate. Deve ugualmente informare il Segretario generale del Consiglio d’Europa della data in cui queste misure cessano d’essere in vigore e in cui le disposizioni della Convenzione riacquistano piena applicazione.”
Ho grassettato le parti di nostro interesse:
- sebbene spesso molti Stati cerchino di parlare di “guerra al terrore” proprio per forzare il diritto internazionale e applicare il diritto dei conflitti armati (volgarmente: guerra), il quale pur tutelando i soggetti coinvolti assottiglia notevolmente la protezione accordata dal diritto internazionale dei diritti umani (come abbiamo cercato di spiegare nel corso base appena terminato sui diritti umani), ci troviamo nel caso francese nell’ipotesi di pericolo pubblico che minaccia la Nazione;
- possono venire sospesi tutti i diritti previsti dalla Convenzione, salvo il 2 (diritto alla vita, nella formulazione però che vi ho spiegato qui!), il 3 (divieto di tortura e trattamenti inumani e degradanti), il 4 paragrafo 1 (divieto di schiavitù) e il 7 (principio di legalità: cioè nessuno può essere punito per un fatto che non era considerato reato al momento della sua commissione. Tradotto: non ci si può “inventare” reati !).
Tuttavia, rimane fuori da tutto ciò l’art. 6, che sancisce il diritto all’equo processo!
Ciò significa che, da novembre in poi, le autorità francesi stanno compiendo perquisizioni, quasi 3.000 al mese, senza mandati e robe simili a garanzia del cittadino. Concretamente questo significa quanto mostrato in questo video di 4 minuti:
Siamo l’un contro l’altro armati e non ci rendiamo conto che quello che sta accadendo è: pretendere che un musulmano si tagli la barba o cambi il suo nome arabo in uno occidentale per non essere vittima di irruzioni a casa sua – nella migliore delle ipotesi – esattamente come i terroristi di Al Shabab o di Dacca pretendevano che gli studenti kenioti o gli imprenditori italiani conoscessero il Corano per aver salva la vita. Terrorismo psicologico che può generare solo terrorismo armato.
È una mera riflessione sociologica: di tutti coloro che sono stati ingiustamente e brutalmente perquisiti, c’è chi capirà e perdonerà. Ma ci sarà anche chi si indignerà, si arrabbierà e dirà: “mi sa che quelli dello Stato islamico tanto torto non hanno!”. A quel punto chi è che avrà radicalizzato quelle persone? Merito della propaganda dell’IS o merito nostro?
È un po’ come al sud (e sto usando un luogo comune, ma così ci intendiamo meglio!): ci si sente spesso abbandonati dallo Stato, ci si sente spesso violentati dallo Stato e vittime di soprusi. C’è chi capisce e perdona e continua ad essere rispettoso delle regole e fare il buon cittadino; chi invece si arrabbia, si sente umiliato e reagisce nel peggiore dei modi aderendo alla criminalità organizzata spesso di tipo mafioso.
Il meccanismo è lo stesso: se la nostra risposta al terrorismo è l’emarginazione e la ghettizzazione legati alla discriminazione, gli effetti potranno essere solo quelli che abbiamo avuto sin ora. Stesse azioni = stesse conseguenze.
Smettiamola di raccontarci la favola che proprio la Francia ha dimostrato che il sistema dell’integrazione non funziona: quella non era integrazione, era assimilazione. Due cose completamente diverse.
Quello italiano non è neppure un sistema di integrazione, bensì di sottomissione della nostra identità a quella di chi arriva. Ma, a questo punto, la colpa è di chi arriva? O di chi riceve?
Risponderò a questa domanda alla fine dell’articolo.
Tornando al primo punto, i fatti di Nizza ci dimostrano che questa sospensione dei diritti, questa moltiplicazione delle irruzioni, ecc. ecc. ecc. non ha potuto impedire i fatti di ieri. La “matrice” di questi fatti è socio-culturale; perciò la soluzione, per essere efficace, può essere solo di tipo socio-culturale.
Lo stato di polizia non è servito a nulla agli Asburgo che tentavano di tenersi il lombardo-veneto, anzi: ha indotto anche gli italiani, che nelle rivoluzioni non è che spicchino, a reagire. Pensate un po’ voi i danni che fa questo modo di gestire le cose!
b. La seconda cosa che Nizza ha messo in evidenza è che la “guerra” è in casa e ha domicilio in Europa, a volte anche da due generazioni. Teniamo fuori per un attimo i lupi solitari, che essendo schegge impazzite difficilmente possono essere individuati e gestiti, e prendiamo in considerazione le “cellule dormienti”. Si dicono tali quelle cellule (gruppi di uomini) già costituite e organizzate che, al momento del bisogno, si risvegliano e agiscono. Queste cellule non si costituiscono in pochi mesi; le cellule hanno alle spalle almeno 5-10 anni in cui si sono organizzate, ramificate, stabilizzate e rese efficienti. Perciò se continuate a credere alle favole di chi vi dice che il problema sono le migrazioni di adesso:
State dando retta a persone che non sanno di cosa stanno parlando;
State alimentando, consciamente o inconsciamente, il problema che vi ho evidenziato al punto a.
A maggior ragione se riflettete su una cosa: se dentro un gregge ci stanno dei lupi e li chiudete tutti insieme in un recinto (tradotto: sbarrate i confini dello Stato), il gregge rimane isolato e i lupi si sbranano tutte le pecore una ad una. È vero che lasciando il cancello aperto possono entrarvi altri lupi, ma possono arrivare anche aiuti inaspettati. Chiudere il recinto significa isolarsi totalmente e condannarsi a morte, perché un lupo quando agisce sbrana molto più velocemente di quanto un gruppo di pecore possa organizzarsi per combatterlo…
Allora, Irene, tanto parli e straparli su quello che non si dovrebbe fare. Ma allora, cosa suggerisci?! Sentiamo un po’!
Le risposte che vi do sono anch’esse due, e viaggiano in modo parallelo: l’una senza l’altra rischia di essere poco efficace.
L’Europa dovrebbe scegliersi in modo migliore gli alleati. Come vi ho raccontato in questo articolo, i rapporti Francia – Arabia Saudita son sempre stati molto buoni. Certo, quando le forze speciali francesi andarono nel 1979 ad aiutare gli amici sauditi vittime degli Ikhwan (che stanno tornando!) erano primi in classifica. Poi quello stesso anno, la rivoluzione iraniana ha portato gli USA a diventare loro i migliori “nemici (a parole) – amici (nei fatti)” dei Saud, con la Francia scesa di qualche posizione in classifica ma sempre rimasta in buoni, ottimi rapporti. Nella fretta di mettere insieme il pezzo, non sono riuscita a trovare una buona infografica per i dati 2015 (quelli 2016, naturalmente, nono sono ancora disponibili), però vi prego di guardare per bene la grafica qui sotto. Vi rendete conto ???
Ora, sappiamo tutti che buona parte di quanto arriva in Arabia, da quest’ultima viene girata – con la stessa velocità di un inoltro di mail – allo Stato Islamico. Sempre nello stesso articolo vi ho raccontato come tra le tribù arabe dell’Anbar e lo stato dei Saud vi siano continue “navette”…
e del perché l’Arabia non ci pensa proprio ad accogliere migranti (non sono i motivi diffusi tra noi, ma ben altri!)
Ciononostante, su questo circolo vizioso delle armi, sembra di stare in un film di Abatantuono, per cui “io lo so, tu lo sai, che ce lo diciamo a fare?”. Ebbene, NO, DICIAMOCELO! E RICORDIAMOCELO! Attacchiamoci un post-it in fronte, se serve.
Abbiamo messo le sanzioni alla Russia, per i fatti di Crimea, disastrando le esportazioni agricole, e non solo, italiane. Però continuiamo a vendere armi, tutti quanti (l’altro giorno leggevo anche del “virtuoso” Canada) a chi è il fornitore ufficiale di chi poi, come minimo, gioisce (quando non è lui stesso a organizzarli!) dei fatti tragici e strazianti che si verificano in Europa.
A questo punto, due son le cose, non vedo una terza via: o applichiamo l’etica a tutti i nostri commerci (quindi non facciamo fuori solo la Russia, ma anche l’Iran, l’Arabia, ecc.) oppure – se proprio etici al 100% non possiamo essere – scegliamo con chi commerciare in base ai nostri interessi e non a quelli altrui.
Cosa voglio dire? Noi Europa le sanzioni alla Russia le abbiamo messe per rimanere nelle simpatie degli Stati Uniti, non certo perché rientrasse nei nostri interessi. Anzi, ci siamo tirati una zappa sui piedi, una di quelle botte che ci lascia i dolori alle articolazioni per un bel po’. Ma nessuno in Europa è davvero contento di ciò: neppure la Merkel! Che da sempre fa occhi a cuoricini a Putin sperando che il presidente russo non si “inc***i” troppo al punto da chiudere rubinetti, portafogli e mercati.
Ho sempre considerato questa vignetta meravigliosamente espressiva!
Ora, magari dagli italiani non me lo aspetto, ma dai francesi forse un colpo di scena in tal senso sì: una sollevazione popolare, che si ribelli contro la fornitura di armi a certi Stati, al nemico. Gli attentati non finiranno mai per certo fintantoché la Francia manderà armi su quel fronte. Altro che stato di polizia: che senso ha fare irruzioni se sei tu ad armare chi ti attacca? Se sei tu a non bloccare la propaganda di chi ti vuole morto? L’IS ha ormai la struttura di uno Stato: questa immagine rappresenta la struttura del Califfato, con 16 province /commissioni esterne alle province di Iraq e Siria.
Continuo a ribadire che se può farlo Anonymous con gli strumenti che ha a disposizione un privato, figurarsi se non può farlo un sistema di intelligence? Che mi si parli di deep web in cui si rifugerebbero quelli del Califfato una volta bloccati gli account “di superficie” oppure del fatto che forse certi account non vengono chiusi perché rappresentano dei binari da seguire per individuare le fonti e carpire informazioni, sono osservazioni che mi stanno bene fino a un certo punto. Anche nell’antimafia, per esempio, funziona così: ma questi “pedinamenti” informativi durano per un po’ soltanto; quando poi davvero si arriva a stringere la maglia e a poter pescare pesci si agisce e si fa un blitz o una qualche azione. Pedinare all’infinito come – forse! - stiamo facendo noi ha senso? Ha senso se poi non si traduce in azioni concrete?
La conclusione che mi viene da tirare, forse sbagliando, è che se finora a un “blitz”, foss’anche telematico, non ci siamo mai arrivati è perché pedinando pedinando non abbiam scoperto un bel nulla. E non è che la cosa mi piaccia molto…
La propaganda dei terroristi è un danno enorme e non fa altro che ridurre in briciole la nostra società. E noi gli stiamo permettendo di farlo senza muovere un dito e neppure storcere il muso!
E quindi viene la risposta numero 2: diffondere la cultura nella società (la solita #irenettealfronte !!!).
Riprendo la domanda che avevo lasciato in sospeso su: la colpa è di chi arriva o di chi riceve? Mettendo da parte altre questioni, è perlopiù di chi riceve. E mi spiego meglio. Pensiamo che l’integrazione sia inutile, ma lo pensiamo solo perché crediamo che quello che stiamo facendo sia integrazione. Ma non lo è! In alcuni casi è beneficenza o assistenzialismo. Ma non è per certo integrazione.
L’integrazione presuppone l’esistenza di almeno due soggetti, due identità, che decidono di mettere insieme dei loro aspetti (preferibilmente quelli migliori) e integrarsi, incastrandosi, in un tutt’uno di coesistenza senza confondersi però l’uno nell’altro. Presupposto quindi è l’identità: ma che identità può avere un popolo che non conosce la propria storia? Che non conosce la propria lingua? Che non conosce la propria cultura? Che credibilità possiamo avere di fronte a coloro che arrivano quando affermiamo addirittura di essere “superiori”?
Giustamente i nuovi arrivati ci guardano e si fanno una grassa risata. Anch’io lo farei! È come quando qualcuno che non ha mai messo le mani nella terra pretende di dirmi come devo curare le astromerie che ho in giardino: gli rido in faccia.
Quelli che fuggono e arrivano da noi hanno probabilmente molta più identità di quanta ne possediamo noi e, alcuni di loro, sono proprio fuggiti per mettere in salvo quella identità e non essere assimilati dallo Stato islamico, per esempio. È nella natura delle cose che la loro identità rischi di prevalere sulla nostra, perché loro ne hanno una; noi cosa abbiamo? Galline e tacchini che strombazzano in TV. Bell’affare!
Ma questa non è una colpa che possiamo attribuire ai migranti.
Altro aspetto cui voglio dedicare due righe, lasciando la trattazione dell’Islam ad altri articoli, è che la cultura ci porterebbe a conoscere di tutti quei “riformatori” dell’Islam che sono stati fatti fuori nel loro mondo. Articolo meglio: sento in TV e leggo sui social che l’Islam è una religione di odio e di morte e che alcune cose vengono fatte perché stanno scritte nel Corano. Ora, non voglio fare la studiosa di religioni che non sono; di certo molti ne sapranno molto più di me. Tuttavia, l’onestà intellettuale mi porta ad accennarvi alle cose in cui sono incappata in anni di studio.
È vero: il Corano è essenzialmente diviso in due parti, quella del periodo vissuto a Medina da Maometto e quello vissuto a La Mecca. Senza farla troppo lunga, Maometto era un commerciante benestante di La Mecca, quando riceve la rivelazione dall'arcangelo Gabriele e a questo punto son guai: egli non intendeva ancora fondare una nuova religione ma piuttosto riformare la religione dei meccani nel senso del monoteismo originale e biblico, e proprio per questo la maggior parte dei suoi concittadini lo trattò da pazzo invasato e da sovvertitore dell’ordine pubblico poiché la sua predicazione contro l’ingiustizia sociale metteva in crisi i privilegi dei potenti commercianti e l’invettiva contro il politeismo toccava gli interessi della città della Mecca, che anche di questi dei si serviva per attirare nuove tribù nella città. Cominciò quindi una vera persecuzione contro Muhammad e i suoi primi seguaci (una trentina in tutto). Dopo alti e bassi fugge e si rifugia a Medina. Poi, a ‘na certa, dopo diverse schermaglie militari, Maometto decide che è ora di riconquistare la città santa della Mecca e assieme ai suoi seguaci gli muove guerra (630 d.C.). Quindi sangue, sgozzamenti, ecc. ecc. finché la Mecca non viene infine conquistata. C'è quindi una parte più "spirituale" nel Corano (periodo meccano) e una più "pragmatica" (periodo medinese).
Ma a questo punto, da lettrice della Bibbia, versetto per versetto, dovrei dire che la parte di Vecchio Testamento in cui, dopo l’esodo guidato da Mosè e la conquista di Gerico in cui gli ebrei avevano a capo Giosuè, la riconquista delle terre di Canaan facendo fuori una tribù locale al giorno non fosse meno sanguinaria come cosa. Perché anche noi non andiamo e scanniamo fuori di casa, visto che la Bibbia ce lo dice?
Perché siamo migliori? No, semplicemente perché abbiamo avuto 500 anni di più per fare una lettura evolutiva dei contenuti della Bibbia. Se voi guardate le copertine di Dabiq, la rivista dell’IS, la data che riportano ad oggi è il 1437. Loro sono nel loro Medioevo e stanno facendo le loro lotte di religione, esattamente come noi nel periodo di riforma e controriforma. Ma ricordate il sangue degli Ugonotti e la strage di San Bartolomeo? Ricordate i Catari? Ricordate i roghi degli eretici?
Ebbene, anche nel campo della religione islamica ci sono tentativi di riforma per far passare, una volta per tutte, in desuetudine la parte di Corano dedicato alla riconquista armata della Mecca. Che fine fanno questi tentativi?
Generalmente i giuristi o i filosofi islamici che la propugnano vengono esiliati o uccisi, per lo più perché questi personaggi compaiono proprio laddove l'Islam fondamentalista sale al potere: andate a guardare ad esempio la vicenda del professore sudanese Mahmoud Mohamed Taha e del suo allievo Abdullahi AhmedAn-Na'im . Forse dovremmo dar loro una mano, o al massimo essere neutrali, anziché suscitare - come minimo - il loro fastidio dicendo urbi et orbi che l’Islam è una religione di morte e non c’è niente da fare. Perché così non è!
Per cui se noi italiani e noi europei non vogliamo soccombere, la risposta è sempre in primis socio-culturale. È la più faticosa, per questo non la si applica; ma è anche la sola che sia davvero efficace!
Non possiamo semplicemente far finta che il fenomeno migratorio non esista e chiudere i confini: fare lo struzzo e mettere la testa sotto la sabbia per illuderci che il problema non esista, non elimina il problema. Dobbiamo imparare a GESTIRE il fenomeno.
Se continuate a condividere la paura e le fobie che cercano in ogni modo di trasmettervi, starete solo crescendo nuove generazioni piene di paura, inadeguate a vivere e soprattutto sopravvivere in un mondo dove i lupi saranno sempre di più. Un futuro di gente pavida che non auguro all’Italia.
Ps. “La Libertà che guida il popolo” non è messa in copertina per ricordare che ieri era l’anniversario della presa della Bastiglia; bensì si riferisce a quando i parigini, nel 1830, si ribellarono alla politica reazionaria (leggi anche: stato di polizia) messa in piedi dal sovrano Carlo X. È di quella rivolta, infatti, che il quadro ci parla.